DOMANDE A BAGNAI



Pongo la seguente domanda a Bagnai sul FQ

http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/03/03/leuro-una-moneta-che-funzionerebbe-solo-se-fosse-la-lira/898941/

E sul suo blog

http://goofynomics.blogspot.it/2014/03/il-keynesianesimo-per-le-dame-e.html

Sul FQ non viene pubblicata (in attesa di moderazione) e successivamente anche rimossa (uso disqus).

Cos’ha la domanda che non va? Vedete un po’ voi. Eccola.

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Egregio prof. Bagnai,

avrei qualche domanda da porle dove mi interesserebbe la sua opinione.

Se proprio dovessi farne una sintesi, io vedo la popolazione divisa in due gruppi: da una parte quelli che vorrebbero uscire dall’euro e dall’altra quelli che dell’area euro ne vorrebbero uno Stato Unito d’Europa. Mi chiedevo se non ci fosse una “terza via”, anche se momentanea, da percorrere?

1. Uscire dall’euro per sfruttare la leva sui cambi equivale a svalutare i salari e aumentare la competitività, ma equivale anche a un effetto spiazzamento che si traduce in inflazione e, di conseguenza, a una tassazione proporzionale.

2. Realizzare gli SUE significa sostanzialmente trasferire risorse dai Paesi in surplus ai Paesi in deficit: l’equivalente di oggi in Italia a livelli regionali/provinciali/comunali; significa anche redistribuzione e implica una tassazione progressiva.

Ecco, le dico subito che io sarei a favore della seconda ipotesi, perché considero (forse erroneamente) la tassazione progressiva quella di efficienza economica che massimizza il benessere sociale. Sappiamo benissimo entrambi che “i forti” non ne sono entusiasti e che la formazione della SUE allo stato attuale rimane un miraggio.

A questo punto, però, mi sono interrogato sulla possibilità di ulteriori manovre che vadano nel senso della progressione e dell’equilibrio economico in un’ottica legata all’euro. In altre parole, mi chiedo se esistono altre vie oltre all’austerity e la permanenza nell’area euro?

Sfogliando un po’ di manuali di economia mi sono accorto di un passaggio interessante: equilibrio tra imposte dirette e indirette in regime di cambi fissi per il riordino del saldo con l’estero. Perché, se il nostro problema è quello di organizzarci secondo il punto 2 e aumentare la competitività secondo il punto 1, l’impostazione di poc’anzi mi era sembrata adeguata.

In sostanza, la domanda è la seguente:

come vede lei la permanenza nell’area euro, sfruttando la leva sull’equilibrio tra imposizione fiscale diretta e indiretta in un’ottica di tassazione progressiva di efficienza economica in un regime di cambi fissi come terza opzione, per completezza d’informazione, da sottoporre in esame al vaglio democratico?

Saluti.

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Successivamente commento un altro post di Bagnai:

http://goofynomics.blogspot.it/2014/03/sunspots-e-stiftungen-perche-siamo-in.html

E scrivo il seguente commento che viene pubblicato. Eccolo.

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Io penso che l’imprenditore, che le ha inviato la lettera, ha intuito qualcosa. Qualcosa di grosso! Penso anche che la correlazione non implica una relazione causa-effetto e, di conseguenza, il grafico da lei riportato non può essere IN ALCUN MODO (e lei lo sa benissimo!) esaustivo.

Insomma, cos’ha intuito l’imprenditore? “utili rigorosamente reinvestiti”

La domanda potrebbe essere posta anche diversamente: lei ritiene che l’Italia avrebbe problemi di produttività e di occupazione SE TUTTI GLI UTILI PRODOTTI DALLE IMPRESE (MA ANCHE DAI LIBERI PROFESSIONISTI E ASSIMILATI, MANAGER/SPECULATORI/…) ANDREBBERO RIGOROSAMENTE REINVESTITI NEL PAESE?

Mi permetterei anche di segnalare quanto segue.

Se da una parte le svalutazioni competitive creano terreno fertile agli investimenti e all’occupazione (e questo successe fino al ’96) fanno lo stesso anche le Stiftung (questa volta per definizione); a differenza delle svalutazioni competitive le Stiftung non svalutano i salari e vanno in un’ottica progressiva, invece che proporzionale (svalutazioni) o, peggio ancora, quando è regressiva (austerity: come in questo periodo); se si parla di progressività, allora parliamo anche di efficienza.

Conclusione e provocazione.

Le Stiftung hanno salvato la Germania perché permettono l’efficienza economica; altrimenti la Germania avrebbe il nostro stesso identico problema.

Un passo in più.

Da una parte le Stiftung e dall’altra il modello danese, che impone il reinvestimento di utili e vieta le delocalizzazioni: il potere sindacale in Danimarca è alla pari della legislazione ordinaria e i sindacati sono compatti e uniti. Se vi interessa ho anche una mappa sulla diffusione delle Stiftung in Europa: guarda caso laddove la governance e il potere dei lavoratori sulle imprese è più forte, gli Stati in oggetto non hanno risentito della crisi. Non nei nostri termini. Le ragioni stanno proprio negli investimenti forzati.

Saluti

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L’articolo viene anche commentato dallo stesso Bagnai. Il suo commento.

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Se voleva dimostrare in modo esaustivo di non aver capito nulla ci è riuscito. Basta per tutte la sua affermazione che le Stiftung non svalutano i salari. Lasci stare, si occupi di ciò che sa, il dibattito in Italia ormai è troppo avanti per lei, glielo dico con solidarietà e rispetto. Se vuole capirci qualcosa, le suggerisco di leggersi prima questo, poi questo, e magari anche questo. Lei continui a illudersi sul modello tedesco, oppure cominci a ragionare sui fatti. Faccia lei.

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Io cerco di spostare l’attenzione sull'argomento e invio quello seguente:

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E’ inutile che lei attacchi la mia persona (forse non ho capito nulla, chissà, ma poco importa), invece che l’argomento, perché la domanda resta sempre valida:

“lei ritiene che l’Italia avrebbe problemi di produttività e di occupazione SE TUTTI GLI UTILI PRODOTTI DALLE IMPRESE (MA ANCHE DAI LIBERI PROFESSIONISTI E ASSIMILATI, MANAGER/SPECULATORI/…) ANDREBBERO RIGOROSAMENTE REINVESTITI NEL PAESE?”

Certo, sarebbe anche utile a chi ci legge se lei poi motivasse la risposta. Sarebbe anche molto utile capire se le Stiftung aiuterebbero a tale scopo?

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Che non viene mai pubblicato, anche se i commenti di altri utenti vengono tutti pubblicati successivamente.

Perché bagnai non risponde ed evita le domande? Anche perché, se ci fate caso, è molto preso a commentare e criticare commenti altrui. Non che io pretenda una qualche risposta e non che io voglia mettere in difficoltà nessuno. E’ lui stesso che continua come un disco rotto a sparar sull’euro. E non che io difenda l’euro, dico soltanto che prima dell’euro non è che si stava meglio degli altri e non è che i salari galoppavano (statistiche e commenti rigorosi li trovate ovunque: non è questa la sede per ribadire quel che è già noto). Dico anche che le strade non sono affatto soltanto due (euro o lira), ma in realtà sono tre. Quest’ultima è quella che “nessuno” vuol sentire, ossia applicare la conoscenza economica all’economia.

Bagnai ha paura della scienza economica? Forse, ed è seriamente probabile, perché come tanti altri (molto noti in tv) resterebbe privo di argomenti validi. Vedete, l’economia è una scienza ed è anche molto facile (non banale) da capire. Non usa strumenti matematici troppo complicati e spesso ci si cava con un po’ di algebra elementare e qualche considerazione rigorosamente logica.

Non dobbiamo scordarci della sua definizione: l’economia è la scienza che studia le risorse scarse che soddisfano bisogni della società. Non sono perciò estranei i concetti di efficienza, efficacia ed economicità, dove ci si avvale del linguaggio matematico per formalizzare le conclusioni. Allora, da economista ci si chiede (per lo meno ci si dovrebbe) come varierà la soddisfazione degli individui e della società nel suo insieme allorquando si modificano/introducono/abrogano alcune leggi?

Nella fattispecie in oggetto (l’euro) ci si dovrebbe chiedere qual è la via migliore, appunto, quella che soddisfa al meglio i bisogni delle persone? Anzi tutto, quante vie esistono? Quali sono le più efficaci, quali le più efficienti e quali le più economiche? Insomma, fare un elenco, e se siamo un popolo democratico (ne dubito), votare per la via che meglio ci aggrada. E il ruolo dell’economista? Beh, è facilmente da delineare: è colui che cerca soluzioni (tutte), fa ipotesi (di tutti i tipi), le analizza (sotto tutti i punti di vista), le pubblica e si mette a disposizione per ulteriori aggiornamenti e/o critiche (perché è uno scienziato).

E Bagnai? Beh, Bagnai guarda le cose da un'unica prospettiva, non è aperto alle critiche e non si mette a disposizione. Bagnai non è uno scienziato, tanto meno potrà mai essere un economista.

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SUPPLEMENTI

Coincidenza? Dopo aver pubblicato questo post il mio commento è finalmente apparso sul blog di Bagnai, con orario 14:22. Comunque, resta ancora senza una replica da parte del prof-blogger.

Stamattina ho visto anche molte repliche al mio commento di ieri sulle Stiftung, ma manca ancora la mia e comunque non sarei in grado di interloquire con nessuno perché i miei commenti non sarebbero pubblicati.

Che senso hanno tutti questi giochetti? mah...

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