TEORIA E PRATICA COMUNISTA: UNA FUSIONE AUSPICATA, UN PARADOSSO PERPETUO




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Non nego la mia simpatia per il PCL, dove vedo e riconosco un escalation libertaria. Non so perché ciò avviene: forse per allargare il proprio consenso o semplicemente perché il tempo e lo studio dei processi sociali non può che portar su tali vie. Si badi bene, l’utopia che accomuna quelli come “me” e quelli come “loro” è la medesima, ma è l’implementazione pratica che ci trova spesso in contrasto.

Sono dettagli non da poco, come non lo sono le contraddizioni nell’articolo e nel modus operandi del PCL. Non ci si può richiamare a coloro che non vogliono essere chiamati in causa e non si possono sostenere coloro che remano nel senso opposto. Se l’operaio tace e acconsente, o peggio ancora se avvalla un tale sistema di cose, egli non può essere un interlocutore valido e non si possono portar avanti delle guerre in nome suo. Che l’operaio sia ignorante, che sia interdetto, o che sia soltanto un credulone, poco importa, ma la battaglia va fatta con chi ci sta e con chi l’ha capita. Non bastano nemmeno i tifosi rossi, quelli che aspettano l’ennesimo corteo gridando col pugno chiuso, ma quotidianamente genuflessi al servizio del padrone.

Non basta nemmeno un occasionale dissenso verso la CGIL e, peggio ancora, se nelle pagine interne del sito si immettono link riportanti al sindacato in questione.

“bisogna mettere in discussione quella società capitalista che la Costituzione tutela”, sì, ma con i fatti e con la coerenza. Quanti di voi “comunisti” hanno un lavoro dipendente? E quanti di voi sarebbero disposti ad accettarne uno? Quanti di voi studiano la società nel suo insieme? Non parlo soltanto dei libri rossi! Quanti di voi studiano alle università per farsi un “mestiere” di alto profilo?

Non dimentichiamoci che il comunista studia per tutta la vita e rifiuta il padrone e non vuole diventarlo. Allora, come si applicano i principi progressivi richiamati dalla costituzione su basi socialiste? Cosa sono le basi socialiste? Cos’è il socialismo?

Se a decidere sarebbero i lavoratori com’è che ci si auspica una legge elettorale proporzionale? Casomai, non ci si auspica alcuna legge elettorale. Sappiamo bene che il lavoratore parlamentare (un ossimoro a tutti gli effetti) non è altro che un borghese moderno. Come mai la storia non vi ha fatto capire niente?

Dal mio punto di vista, ovviamente libertario (e prima ancora scientifico e razionale), ma allo stesso tempo realista e pratico, se la divisione politica del mondo ci impone una transizione prolungata in forme più o meno autoritarie queste andrebbero minimizzate (la parola ha un senso scientifico notevole). Le imprese autogestite in forma cooperativa (non quelle all’italiana) funzionano nel modo seguente: i lavoratori riuniti in assemblea scelgono il proprio governante e rappresentante conferendogli una fiducia revocabile in qualsiasi momento; sulle questioni straordinarie è comunque l’assemblea a decidere, ma quasi sempre, e come è giusto che sia, sulla proposta del governante.

Mi chiedo, se queste cose sono quelle che funzionano, e sono allo stesso tempo socialiste e pratiche, perché non prenderne spunto e generalizzarle in un ottica nazionale e forse anche accompagnarle ad una proposta a livello internazionale? Le conclusioni sono presto fatte: i lavoratori si scelgono i ministri e sottosegretari, che saranno sempre revocabili (magari con delle elezioni annuali), mentre le leggi dovrebbero essere comunque avallate dai lavoratori stessi, che potrebbero proporne anche delle nuove. Se i governanti agiscono secondo legge, le leggi stesse sono da considerarsi di natura straordinaria.

Insomma, una volta all’anno per decidere sul buon governo ed eventualmente sceglierne un altro e nello stesso giorno riflettere sulle leggi emanate dallo stesso governo o da quelli precedenti; magari  lasciando anche un periodo di prova sulle leggi stesse, nel senso che la verifica andrebbe fatta a posteriori (non mi divulgo troppo sull’ignoranza dei singoli, che non ci credono finché non provano).

Allora, a che serve il parlamento? A maggior ragione se si considera che anche oggi, come in passato, il parlamento è stato scelto dai lavoratori, siccome sono la maggioranza nel paese. O forse, mi sfugge il significato del lavoratore? Penso di no, ma questo mi riporta a quanto esposto di sopra, se i lavoratori hanno scelto e continuano a scegliere e a sottostare ai governi borghesi e alla borghesia in generale, che senso potrebbe mai avere il rifacimento al lavoratore in quanto tale?

I lavoratori vanno distinti tra di loro: tra i lavoratori dipendenti (quelli che l’hanno capita e quelli che non l’hanno capita) e quelli indipendenti. Anche tra i lavoratori indipendenti le scelte vanno compiute: ci sono quelli che sfruttano il lavoro dipendente e quelli che hanno optato altrimenti. Questi ultimi, magari non sapendone nulla sul comunismo si comportano come tali: sono tornati alla naturalità delle cose e vivono liberamente in equilibrio con altrettanti individui a loro volta liberi. Non bisogna scordarsi delle cooperative e dei consorzi di artigiani: questi ultimi sono forse il futuro della convivenza civile.

Si può essere comunisti non sapendone niente del comunismo? Questo è impossibile! Infatti, la coscienza in generale, non di meno quella comunista, si acquisisce unicamente con la conoscenza,  teorica e pratica.

Così avrei descritto uno scenario pessimista e magari critico a prescindere verso un movimento politico; magari mi sarei anche contraddetto esprimendo la mia simpatia per quest’ultimo. Quello che mi passa per la testa è che le rivoluzioni (parlo di quelle silenziose) non possono che essere accompagnate da coloro che il mondo lo desiderano in modo diverso e più giusto, da quelli che studiano, ma anche da quelli che tali rivoluzioni incominciano ad applicarle, anche se inconsciamente, perché le vivono quotidianamente.

E se i due fronti, quello teorico (inconcludente e spesso contraddittorio) e quello pratico (ancora inconscio) si fondessero?


Hasta La Victoria Siempre.

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