PARADISI FISCALI: TOCCARLI SIGNIFICHEREBBE LA FINE DEL CAPITALISMO



Spesso, ma sempre meno (chissà perché?), si parla dei paradisi fiscali e dell’impotenza da parte degli stati di raggiungere, identificare gli elusori e rientrare dei propri soldi, in quanto molti stati non concedono informazioni riguardo ai nominativi e spesso neanche sulle rimanenze in conto corrente. Lo stesso discorso vale anche per le imprese con sede in tali regioni del mondo.

Siccome non so chi sia, non conosco l’esatto importo di ciascuno e non conosco nemmeno la strada dei capitali non posso far altro che tassare i residenti in patria perché da qualche parte avrei bisogno di finanziarmi? Questa è la retorica che almeno quelli più attenti si bevono quotidianamente.

E se dall’oggi al domani cambiassi moneta? E se lo facessi nel modo seguente. Cambio della moneta alla pari fino a un certo importo: per i residenti (aziende o imprese); sotto la pari in altri casi, magari molto sotto alla pari per importi provenienti dai paradisi fiscali. E se lo facessi ogni dieci anni?

Le formule possono essere delle più svariate, ma la logica di fondo permane: gli strumenti a disposizione per arrivare ai paradisi fiscali ci sono e non nuocono alla sovranità degli altri. Non sarebbe nemmeno un fatto isolato o inedito: si pensi alla riunificazione tedesca e al cambio con la Germania dell’Est; il cambio non fu uguale per tutti e per tutti gli importi, ma venne selezionato e diversificato.

Sapendo che alle scadenze prefissate i detentori di moneta in accumulo e non reinvestita saranno tassati alla pari, magari, di una patrimoniale annua ovviamente tenderanno a sbarazzarsene e deprezzerebbero la stessa moneta. Questo è vero fino ad un certo punto, quando tutta la moneta sarà minimizzata e, come è giusto che sia, finalizzata agli scambi e non all’accumulo il valore si stabilizza e il rischio di interventi straordinari si azzera.

Come sappiamo il passaggio da un sistema D-M-D’ ad uno del tipo M-D-M comporta anche altri “inconvenienti”, ossia il rischio della delocalizzazione di imprese private, in quanto orientate al profitto e quindi all’accumulo (lecito o illecito che sia).

Il nodo da sciogliere, ancora una volta, resta comunque la proprietà e il possesso privato, ma non mi stancherò mai di ripetere, che il superamento della proprietà privata non è un fine, ma un mezzo. Un mezzo che poi dovrà tener conto per forza di cose di tutte quelle teorie scientifico-borghesi sull’efficienza ed efficacia economica e come si raggiungono. In altre parole, bisogna studiare Marx e Keynes per comprendere i limiti e le correzioni fallimentari al capitalismo, ma poi una volta raggiunto l’obiettivo, quello di abrogarlo, bisognerà che i compagni si mettano a studiare seriamente tutta quella marea di modelli e metodi economico scientifici ideati e promossi dalla borghesia per saper applicarli costruttivamente al socialismo.



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