COOPERAZIONE E RISPARMIO


«Vi sono oggi molti benpensanti, animati da amor di patria, i quali ritengono che la cosa più utile [..] sia risparmiare più del solito. Costoro [..] ritengono che la giusta politica in un momento come questo consista nell’opporsi all’allargamento della spesa per lavori pubblici [..]. 

Ma quando vi è già una forte eccedenza di manodopera [..] il risultato del risparmio è soltanto quello di aumentare questa eccedenza [..] Inoltre, quando un individuo è escluso dal lavoro [..] la sua ridotta capacità di acquisto determina ulteriore disoccupazione [..] 

La valutazione migliore che posso formulare è che quando si risparmiano cinque scellini, si lascia senza lavoro un uomo per una giornata». Ineccepibile eppure eversivo, forse ora ancor più di allora. Perché negare che il risparmio si tramuti interamente in investimento significa di fatto evidenziare una gigantesca contraddizione insita nel capitalismo individualistico governato dalla finanza privata. 

Un capitalismo che proprio sulla separazione tra risparmio e investimento vive e prospera, ma a quanto pare su di essa rischia pure di implodere.


***

Tutto vero, giusto, ma gli faccio comunque una critica non da poco.

Keynes, come anche forse Brancaccio ed altri keynesiani non hanno mai capito è che il privato tenderà sempre a risparmiare (accumulare), proprio in quanto privato. Non solo! Cercherà “umanamente” a conservare tale status e ne diventerà pure dipendente (malato!): a tal proposito la ragnatela di rapporti personali e familiari ne farà un animale senza scrupoli. Corrompendo la politica per preservare la malattia è facile uscire dal keynesismo e ritrovarsi ancora una volta nel neoliberismo.

Analizzare l’economia senza la filosofia, la psicologia e la sociologia (generalmente in assenza di altre discipline umanistiche) non porta a risultati soddisfacenti.

Seconda critica: economica in senso stretto.

Ammesso e non concesso che i prezzi varino: cosa succederebbe con i mezzi di produzione a fronte di una platea di superricchi che detiene molte volte il PIL del Paese? Ovvio, la concentrazione dell’economia si conterebbe sulle dita di una sola mano. E quale sarebbe la perdita sociale dovuta al supermonopolio di atto o di fatto? Non contando il punto precedente: l’intreccio tra economia di 2/3 superricchi e la politica.

Ad un certo punto storico dovremmo, dunque, porre dei limiti all’accumulazione dovuta alla spesa in deficit? E se lo si fa, perché mai i “ricchi concentrati” dovrebbero anche soltanto eseguire le commesse statali?

Vedete, il neoliberismo trova tutte le sue contraddizioni anche soltanto nel breve periodo, ma il keynesismo le trova comunque nel lungo.

Per capire meglio ciò che sto per esporre vi proporrei anche il materiale seguente:


nonché una delle illuminanti puntate di Report:


e non da meno:


In qualunque modo si voglia chiamare (economia del bene comune, o economia basata sulle risorse, o sistema di cooperative, o anche soltanto all’antica, cioè comunismo) il fine ultimo permane, ossia un economia rivolta alla soddisfazione dei bisogni in armonia con l’ambiente e non orientata al profitto. Se proprio volete, chiamatela soltanto economia: fare economia non significa altro che il miglior impiego possibile della risorsa scarsa. Tale impiego non può essere svolto al meglio se non orientato alla persona e all’ambiente nel suo insieme. Che altrimenti sarebbe antieconomico, quasi per definizione. Le ragioni sono talmente ovvie che ometto.

La scientificità delle operazioni, come anche l’assenza del profitto portano all’economia; in alternativa si discostano, anche sensibilmente dalla disciplina. Sentir parlare della massimizzazione del profitto in economia è, dunque, una contraddizione in termini, essendo il profitto antieconomico per sua natura.

Ma se tutti producono per la comunità e non più per se stessi, che senso avrebbero ancora il mercato e la moneta stessa?

Se aspettiamo che tutto il mondo (parliamo di 7 miliardi di persone) prenda coscienza in pochissimo tempo, ci illudiamo e di fatto non saremmo meglio di coloro contro i quali lottiamo: saremmo soltanto un’altra setta religiosa messa in fila. E’ anche vero che soltanto una nazione nel suo insieme acquisisca questa consapevolezza, anche quelle di piccole dimensioni, è al momento utopico di per sé. Potremmo già cantar vittoria se riuscissimo a convincere soltanto mezzo San Marino!

Però, creando tante piccole consapevolezze quante siano le piccole realtà isolate potremmo spargere un virus letale per l’attuale sistema socioeconomico. Già, un sistema che produce per la comunità, magari soltanto per una comunità di 20 persone, appunto, per la comunità di fabbrica, ovvero la cooperativa. 

Se parliamo di interazioni tra queste comunità, o anche tra le comunità e le attuali imprese private, o anche tra la comunità e il regime burocratico dominante, allora parliamo di scambio, di mercato e di moneta, sì, ma con una notevole differenza: la comunità non produce più per il profitto (risparmio e accumulazione), ma per il reddito dei singoli che vi partecipano.

Allora, vi faccio una domanda semplice, ma non banale: chi è più comunista, un artigiano (o un consorzio di artigiani) o un lavoratore dipendente? Ovviamente, intendo artigiani in senso stretto e non quelli che usano lavoratori dipendenti.

Perché un comunista dovrebbe proteggere il lavoratore dipendente, uno che si è piegato e lavora per il profitto? Soltanto perché è inconsapevole e perché poveretto bisognoso di aiuto? Beh, guardate, se usiamo la testa fino in fondo la logica non potrebbe essere che la seguente: non sono qui per fare moralismi o per commiserare qualcuno, ma per ragionare; se uno in sede di lotta non fa altro che elemosinare qualche euro in più dall’enorme profitto che produce e alimentando di fatto il sistema fallimentare capitalistico, io non posso che essere contrario, in quanto tale lotta risulta essere antieconomica.

Capisco cos’è la schiavitù e capisco anche l’indottrinamento e per questi motivi non posso essere neanche contro l’operaio: posso soltanto continuare con la mia lotta e in attesa aiutare gli operai che la smettano con le loro idee antieconomiche che alimentano lo sfruttamento.

Di conseguenza il punto del programma comunista è il seguente:
-nessun sostegno ai sindacati che alimentano il sistema capitalista e nessuna guerra aperta al sindacato
-sostegno aperto ai singoli, alle imprese, gruppi di imprese e sindacati che attuano e lottano per un sistema cooperativo e non orientato al profitto (risparmio e accumulazione)

In attesa che il mondo capisca e in attesa che il risparmio arrivi al capolinea io da comunista posso mettermi in gioco e incominciare almeno con una parte del programma, ovvero la cooperazione produttiva tra le persone.

Nessun commento: